lunedì 6 febbraio 2012

L'appuntamento fisso

Nel gennaio del 1981 avevo poco più che dieci anni. Una sera trasmisero su Canale 5 il Superbowl, la finale del campionato di Football americano. Fu amore a prima vista. Quello sport così distante dai nostri standard, così colorato e insolito mi colpì profondamente.

Sono passati 31 anni e la gioia, l'attesa con cui vivo ed aspetto questo evento è sempre la stessa. Anzi forse è finanche cresciuta.

Non sempre fu possibile seguirlo in diretta, ma questo per un pò è stato un vantaggio. Nell'era pre-internet del football non importava nulla a nessuno e la differita del giorno dopo era a tutti gli effetti una diretta. Per molti anni l'ho visto fino alle 4 del mattino, adesso più comodamente il giorno dopo, dovendo però necessariamente seppellirmi vivo per evitare di sapere il risultato.

Sono passati parecchi anni ma rivedo sempre con piacere scorrere nella mia mente quei giochi che mi hanno portato ad amare questo sport, quelle storie che piacciono tanto agli americani che trasformano sempre in miti e leggende.

Certi gli anni 80 furono dominati dal mitico Joe Montana e dai suoi 49'ers. Quelle casacche rosse erano sinonimo di un bel gioco, la West Coast offense si chiamava. Il ritmo dei loro drive di attacco, le rimonte memorabili contro i Cincinnati Bengals rimangono nella mia mente.

Essendo vissuto per un periodo a Chicago so che lì tutti ricordano i tempi di Mike Dikta e dei mitici Bears.  Che fecero segnare anche Perry, detto "The refrigerator", per via della sua stazza non proprio minuta...ma so anche che non posso non pensare a quella che è stata una delle corse più incredibili, Marcus Allen dei Raiders contro i Washington Redskins. Ho ancora nelle orecchie "Marcus Allen, Marcus Allen, sulle 30... sulle 20... sulle 10.. Touchdown!!"

Come fare a non compiangere i poveri Buffalo Bills che arrivarono per 4 volte di fila alla partita della vita e la persero sempre? Credo che stiano ancora cercando il povero Scott Norwood che sbagliò il field goal decisivo e consegnò il titolo ai Giants di Bill Parcell nella prima di quelle 4 partite...

Come si fa a non avere amato Troy Aikmann mentre portava i Cowboys di Dallas a due titoli di fila? Guidati in panchina da un laccatissimo Jimmy Johnson, con Emmitt Smith come running back i Dallas si potevano permettere anche le stupidaggini di Leon Lett.

E che dire della partita del 1997 quando finalmente i mitici Green Bay, la squadra simbolo di questo sport, il nome del cui coach storico, Vince Lombardi, è divenuto il nome del trofeo, tornarono alla vittoria con il fortissimo ma estremamente volubile Brett Favre? Emozione.

E l'anno dopo arrivò il turno anche per un grandissimo sconfitto, John Elway, il prototipo del ragazzotto americano, alto, biondo, dotato di grande braccio ma anche di buone gambe. Molti grandi non hanno mai vinto, come Dan Marino, ma John ebbe la fortuna dopo 3 sconfitte di fregiarsi di due vittorie, il tempo è stato galantuomo.

Gli anni del nuovo secolo hanno visto le partite forse più combattute e non sempre ha vinto chi meritava di più. Certo i Tennesse Titans si fermarono ad una sola yard dal titolo, i poveri Arizona Cardinals persero a 10 secondi dalla fine, mentre i Patriots e gli Steelers inanellavano vittorie.

Ma forse una delle vittorie più emozionanti è stata quella dei New Orleans Saints due anni fa, perché non era solo il successo di una squadra che era sempre stata un signor nessuno ma anche di una intera nazione, la Louisiana, cara tutti per il Jazz e il Mississipi, così duramente provata dall'uragano Katrina.

Il superbowl è stato e rimane il silenzioso testimone della mia vita. E' un appuntamento fisso, come con un vecchio amico che mi racconta sempre storie nuove. Trovo che guardare questo sport e capirlo non siano la stessa cosa. C'è bisogno di un pò di attenzione, di conoscere bene le regole, gli schemi, le formazioni per apprezzarlo fino in fondo. Bisogno maturare la profonda convinzione che non c'è uno sport più di squadra di questo. Basta l'errore di un singolo e la migliore delle azioni viene vanificata.

Poichè lo gioco anche adesso, pure se a livello assolutamente amatoriale, mi rendo conto della grande bravura dei quarterback. Non solo nei loro lanci, nella potenza delle loro braccia, nel sincronismo delle loro azioni. Ma anche e sopratutto nella loro capacità di leggere le azioni. il QB è come il direttore di orchestra, sa le partiture di tutti e deve scegliere in una frazione di secondo quella che sarà vincente.

Quando mi trovo chino sul tavolo a disegnare uno schema per le mie partite, ripenso a Marco Lucchini, che commentava, molto seraficamente, quel primo superbowl. E di quanto la mia conoscenza di questo gioco sia migliorata. Ma anche a come sia riuscito a conservare in me la meraviglia che c'era in quegli occhi di bambino per questo gioco.

1 commento:

  1. bello prof....
    mi ci vorranno 30 anni per capire a pieno questo sport!!!

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