domenica 1 aprile 2012

Giorgio

Accidenti è morto Giorgio Chinaglia. Da molti anni non seguo più il calcio in modo assiduo. Un pò gli scandali, un pò la quasi certezza che molto viene deciso lontano dai campi di gioco, un pò un senso di schifo per dei giocatori strapagati che non provano nemmeno ad essere di esempio in qualche cosa per i molti giovani che li idolatrano.

Ma non posso non rimanere indifferente alla morte di Chinaglia. Per un ragazzino che aveva 4 anni al tempo del mitico scudetto della Lazio e che è cresciuto con il mito di questo grande centravanti questa notizia mi riporta indietro nel tempo.

In un tempo in cui non sapevo che questo uomo era bravo in campo ma un mezzo delinquente fuori, e che si coricava con una pistola pure in ritiro con la squadra. Anzi proprio con i compagni aveva l'insana passione delle armi che costò la vita a Re Cecconi.

Era quello che tirava così forte che sfondava le reti, era il campione che ci aveva fatto grandi, elevando una perdente storica a grande squadra. Era colui che era andato a fare fortuna in america e che come uno "zio d'america" era così venerato.

Tornò negli anni 80 per prendere la società e già solo il suo ritorno accendeva le nostre speranze. Aveva tanti torti ma anche una grande passione per questa squadra e questa maglia. Era un maleducato, uno spaccone, uno che si giocò la Nazionale per avere mandato a quel paese il ct Valcareggi.

L'episodio più "edificante" che ricordo è alla fine di un Lazio Udinese. Il pareggio dei friulani arriva al 90', grazie ad una direzione di gara oscena dell'arbitro, Menicucci mi pare. Punizione inesistente, arbitro che trattiene il giocatore laziale in barriera mentre salta e goal in solare fuorigioco. 2-2. Non c'era la TV, c'era la radio però. Che raccontava che Chinaglia (presidente del club) entrò in campo con l'ombrello e cercò di percuotere l'arbitro. Fu squalificato. A distanza di tanti anni posso dire che, rivedendo quelle immagini, aveva fatto bene. Nel calcio c'è un tale odore di marcio...

E la gente lo amava e credeva in lui. Sampdoria-Lazio 2-0 alla fine del primo tempo. Il tecnico Juan Carlos Lorenzo decide di far cambiare la maglietta al portiere Orsi, il colore non portava bene. Finisce 2-2. E vicino alla radiolina che trasmette il goal, il marito della cugina di mamma non grida goal, grida "Giorgio!!!" e ci dice:"dovete crederci anche voi in Giorgio", come fosse una religione.

L'avventura fu breve e non andò a buon fine. Da  lì in poi inizia il declino, anche nella visione di un adolescente laziale. Prima si buttò in politica, e poi alla fine si legò con dei figuri poco raccomandabili per scalare la Lazio. Ottenendo due mandati di cattura e un esilio dorato in Florida.

Direi che il pubblico lo ha amato perchè era irriverente, perché un giorno prese a calci nel sedere D'Amico, grande classe ma anche culo pesante, perché fu l'unico nei Cosmos che si permise di criticare Pelè.

E' stato un grande giocatore in campo e un pessimo uomo fuori. Le due cose spesso non vanno d'accordo. Eppure mi mancherà, forse non tanto lui, ma il ricordo di quei tempi.  

1 commento:

  1. Forse mi sbaglierò ma mi ha sempre dato l'idea che i suoi (tanti) errori fossero dovuti al suo essere incapace di dire no. Mi dispiace che sia morto cosi da solo, lui che ha rappresentato davvero qualcosa per noi laziali, sempre a corto di eroi.

    Spero che davvero ora sia con Tommaso Maestrelli, con Luciano Re Cecconi e Mario Frustalupi. Se cosi fosse si divertiranno lassù.

    Ciao Long John, ti sia lieve la terra.

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