venerdì 28 gennaio 2011

Challenger 25 anni fa

Sono passati già 25 anni. In quel freddo giorno di gennaio non si sono solo spezzate le vite degli astronauti e della maestrina dello spazio ma si è rotto anche il nostro sogno di farlo diventare la nostra prossima frontiera.
Ricordo quella sera benissimo. Mi telefonò un amico. Accendi la TV, è esploso lo shuttle!!  Mi si gelò il sangue.

Oggi abbiamo fatto il callo a tutto, nulla è più sorprendente. Per la mia generazione lo shuttle è stato qualcosa di grandioso. Un traghetto spaziale, parte come un razzo, vola come una astronave e torna come un aliante. Quando è partito per la prima volta il Columbia ci raccontavano che sarebbero potuti partire ogni due settimane.

Eravamo anni luce davanti al progetto Apollo quando gli astronauti che tornavano dalla luna stavano in quarantena. Lo shuttle era l'Apollo della mia generazione.

Purtroppo per la mia generazione gli anni 80 non furono come i 60. Da un lato l'amministrazione Reagan taglia pesantemente il bilancio della Nasa, dall'altra gli impone di far diventare i viaggi di routine. E così capita che dopo una notte sottozero si lancia una missione che mai avrebbe dovuto lasciare la rampa di lancio.

Appena un secondo dopo il lancio si rompe, perchè ghiacciato, l'o-ring, l'anello di gomma che tiene insieme il booster laterale. Circa un minuto dopo il lancio la fuoriuscita dell'ossigeno liquido si incendia e il razzo laterale entra nel serbatoio centrale. Lo shuttle esplode. Passeranno ancora circa 4 minuti finché la capsula dell'equipaggio, integra, toccherà il mare. Alcuni membri erano vivi, saranno ritrovati i i respiratori manuali azionati. Una morte lunga 4 minuti. La storia più toccante è la maestrina dello spazio. Doveva insegnare ai suoi studenti dall'orbita terrestre, era la prova che lo spazio era alla portata della persona di tutti i giorni.

Non è stato così e non lo è ancora. E' stato un monito forte. Hybis era il peccato che gli dei greci non perdonavo, il peccato della superbia.

Quel giorno è cambiato per sempre il modo in cui vediamo lo spazio. In peggio.

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